19 maggio 2015

ANABOLIZZANTI PER “GONFIARE” GI ANIMALI: CHIARIMENTI DAL PRESIDENTE AIVEMP

Il  presidente AIVEMP e vicepresidente ANMVI Bartolomeo Griglio  ha chiarito   alcuni aspetti emersi nella puntata di Report di Rai 3  in cui è stato rilanciato l’allarme sul rischio per i consumatori collegato all’impiego di anabolizzanti per “gonfiare” gli animali.  

 Quale è oggi il rischio di assumere residui di sostanze anabolizzanti attraverso il consumo di carni? Sappiamo che il Piano Nazionale Residui prevede controlli a sorpresa da parte dei servizi veterinari delle ASL presso allevamenti e macelli per il prelievo di mangimi, liquidi biologici da animali vivi, pelo, organi anatomici e liquidi biologici sugli animali al macello. Su questi campioni vengono effettuate ricerche con metodi analitici avanzati che sono in grado di evidenziare in modo estremamente efficace residui di sostanze come cortisonici, ormoni, beta-agonisti che possono essere state impiegate a scopo anabolizzante. I risultati di questo piano dimostrano che la presenza di residui è estremamente bassa, sia come percentuale di animali irregolari, sia come quantità rilevate. È pertanto assolutamente corretto affermare, come ha fatto il Ministro Lorenzin, che le carni sono sicure, in quanto il livello di esposizione dei consumatori è estremamente basso.

réplique montres

E volendo insistere si dovrebbe anche domandare: Come si spiegano allora i dati pubblicati dai Ricercatori che evidenzierebbero percentuali elevatissime di trattamento con sostanze proibite (30% degli animali allevati)? Non meravigli che tra i metodi utilizzati in queste ricerche, il test istologico si basa su concetti conosciuti fin dagli anni '70 e che prevedono la valutazione di alterazioni di particolari organi degli animali che subiscono modificazioni più o meno permanenti a seguito dell'esposizione ad alcune tipologie di sostanze. Tra questi organi vi è il timo, che in presenza di cortisonici va incontro ad atrofia per la diminuzione del numero di cellule la prostata e le ghiandole bulbo-uretrali, che in presenza di dosi di ormoni superiori a quelle fisiologiche possono presentare modificazioni del numero di strati (iperplasia) e la tipologia (metaplasia) delle cellule dell'epitelio ghiandolare. Questi metodi sono oggi resi più sensibili dall'impiego di biomarker e altre tecniche di indagine biomolecolare, immunoenzimatica e immunoistochimica che consentono di rilevare variazioni infinitesimali a carico delle cellule, aumentandone la sensibilità. Le percentuali riportate dai Ricercatori nella trasmissione e nelle interviste riguardano pertanto, non il numero di animali nei quali si è rilevata la presenza di residui potenzialmente pericolosi per il consumatore, ma i soggetti nei quali era rilevabile l'alterazione di organi bersaglio legate all'esposizione dell'animale, nel corso della sua vita, a sostanze potenzialmente collegabili a trattamenti fraudolenti. Su molti di questi animali, a seguito del riscontro delle alterazioni, sono stati effettuati controlli ufficiali per la ricerca di residui con esiti negativi in una percentuale elevata di casi.

Chi non fosse ancora convinto e si chiedesse: Perché questi metodi non vengono utilizzati in sostituzione di quelli oggi impiegati per ricercare i residui? Ebbene, nonostante gli ormai 15 anni di sperimentazione, come riconosciuto dagli stessi Ricercatori nelle loro pubblicazioni scientifiche, né i metodi istologici né quelli che si basano sulle biotecnologie, sono in grado di distinguere le alterazioni degli organi bersaglio legate a trattamenti fraudolenti da quelle causate a trattamenti terapeutici (consentiti) o a esposizione a sostanze ad azione ormonale presenti negli alimenti o nell'ambiente.
Gli allevatori disonesti, per evitare di essere individuati, tendono infatti ad utilizzare sostanze utilizzabili a scopo terapeutico (beta-agonisti, cortisonici) o sostanze che sono normalmente presenti nell'organismo dell'animale (ormoni come 17beta-estradiolo, progesterone, testosterone, ecc.) oppure possono provenire da alimenti contaminati (estrogeni naturalmente presenti ad esempio nella soia o micotossine, come zearalenolo, legati allo sviluppo di muffe ad esempio sui cereali).
I metodi alternativi proposti dai Ricercatori non sono stati sottovalutati e alcuni di questi (test istologico) sono impiegati dal 2008, sulla base delle indicazioni del Piano Nazionale Residui, per individuare allevamenti sospetti presso i quali indirizzare i controlli ufficiali aumentando la sensibilità delle verifiche.
Non è pensabile (sarebbe contro i diritti costituzionali) adottare provvedimenti di sequestro e di irrogazione di sanzioni nei confronti di allevatori, i cui animali manifestino alterazioni di organi bersaglio, in assenza del riscontro di residui nei liquidi biologici o negli organi dell'animale, ma esclusivamente sulla base di metodologie che, per ammissione degli stessi Ricercatori, non consentono al momento di distinguere con certezza tra alterazioni causate da trattamenti fraudolenti e alterazioni legate a trattamenti terapeutici o a esposizione a contaminanti alimentari/ambientali avvenuti nel corso della vita del soggetto.

E se Voi, telespettatori di Report, avete ancora dei dubbi sull'affidabilità dei controlli svolti dai servizi veterinari perché forze dell'Ordine rilevano trattamenti illeciti che non sono normalmente scoperti dai normali controlli, dovete sapere che il sistema dei controlli svolti dai Servizi Veterinari del Sistema Sanitario Nazionale è oggi estremamente stringente (mangime, allevamento, macello), pertanto gli allevatori che vogliono utilizzare metodi illeciti di allevamento, per sfuggire alle verifiche, devono adottare accorgimenti tipici della malavita organizzata.

È per questo motivo che i casi portati all'attenzione del pubblico sono scoperti dalle forze dell'ordine nell'ambito di indagini mirate oppure di indagini per altri illeciti (frodi alimentari, frodi fiscali, ecc.) che prevedono l'impiego di tecniche quali il pedinamento, le intercettazioni telefoniche, le perquisizioni, ecc. che non sono normalmente previste per i controlli routinari.
È in questa ottica che nel Piano Nazionale Integrato per la Sicurezza Alimentare (PNI) sono coinvolti a pieno titoli organi di controllo che, pur non avendo una competenza specifica nel settore della sicurezza alimentare, possono contribuire con i sistemi di indagine a loro disposizione a fornire un importante contributo per assicurare i più alti livelli di sicurezza alimentare ai cittadini italiani.

Le risposte qui fornite non sono frutto di inchieste giudiziarie né giornalistiche, ma derivano dall'attività sul campo e dalla lettura dei lavori scientifici sull'argomento.


Bartolomeo Griglio
Vicepresidente ANMVI
Presidente AIVEMP

Fonte: ANMVI OGGI